Violenza sulle donne: i dati del 2024 restituiscono uno scenario inquietante.
- annalisalospinuso
- 26 nov 2024
- Tempo di lettura: 4 min

All’indomani della celebrazione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, numerose testate giornalistiche hanno riportato i dati sul femminicidio in Italia nel 2024, confermando una tendenza allarmante: 99 vittime registrate sino a novembre.
Preoccupanti i dati forniti dall’Osservatorio Nazionale, che ha evidenziato una media di circa tre femminicidi al mese, con punte particolarmente critiche durante i mesi estivi. Questi numeri si inseriscono nel quadro della violenza di genere, che rimane una delle principali emergenze sociali del Paese.
Secondo il Ministero dell’Interno, il femminicidio costituisce circa il 37% degli omicidi totali commessi nel 2024, dimostrando che le donne continuano a essere maggiormente colpite in ambito domestico o da persone conosciute.
Crescono, secondo i dati dell’XI Rapporto Eures, le vittime che hanno più di 65anni: sono 37 quelle colpite nel 2024 dal coniuge o dai figli, pari al 37,4% delle vittime totali ed in forte aumento– in numeri assoluti passate da 5 a 9 – anche il numero delle figlie, uccise generalmente all'interno di «stragi familiari» o in quanto vittime collaterali di una violenza orientata a colpire la coniuge o la ex partner.
Anche quando non vengono uccise, però, le giovani donne sono vittima della violenza maschile: nei primi sei mesi del 2024 sono state commesse oltre 2.900 violenze sessuali e più di 8.500 atti persecutori; in aumento, analizzando i dati forniti dal Dipartimento Centrale della polizia criminale, i maltrattamenti contro familiari e conviventi, che superano i 12 mila.
Significativo è altresì l’aumento delle chiamate pervenute al Numero Antiviolenza e Antistalking 1522 (che sarebbero oltre 32.000), mentre più di 23.000 sono le donne ascoltate nei centri della Rete nazionale antiviolenza (dati forniti da D.i.Re - DONNE IN RETE CONTRO LA VIOLENZA).
Costante, tuttavia, è la difficoltà delle vittime nel denunciare i comportamenti abusivi, per paura o mancanza di un adeguato supporto, nonostante i rapporti settimanali della Polizia Criminale evidenzino come molti episodi di femminicidio siano preceduti da segnali premonitori, quali denunce per i reati di stalking o maltrattamenti in famiglia.
Stalking e Maltrattamenti in Famiglia: brevi cenni.
Nel diritto penale italiano, i reati di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), meglio noto come “stalking”, e maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) ricoprono un ruolo centrale nella tutela delle vittime di violenza e abusi.
Sebbene entrambi possano coinvolgere dinamiche relazionali simili, si distinguono per presupposti, caratteristiche e conseguenze.
La giurisprudenza ha da sempre offerto importanti spunti per cercare di chiarire i confini tra queste due fattispecie, evitando sovrapposizioni o errate qualificazioni giuridiche.
Il reato di stalking si configura quando una persona compie atti persecutori reiterati (come minacce, molestie o lesioni) tali da:
Causare un perdurante stato di ansia o paura nella vittima;
Generare un fondato timore per l'incolumità propria o altrui;
Costringere la vittima a modificare significativamente le proprie abitudini di vita.
La Corte di Cassazione, pronunciandosi più volte sul punto, ha ormai da tempo chiarito che per la sussistenza del reato è necessaria una reiterazione significativa delle condotte persecutorie, anche se non necessariamente continuative: è sufficiente che vi sia un nesso causale diretto tra le azioni del persecutore e l’effetto destabilizzante sulla vittima. (v. ex multis Cass. Pen., n. 43656/2023).
Sono sufficienti ad integrare il delitto anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (v. Cass. Pen. n 3215/2023).
Per quanto attiene il contenuto delle condotte, è stata ancora una volta la giurisprudenza a risolvere i dubbi sorti, indicando come atti persecutori idonei a integrare il delitto di stalking non solamente quei comportamenti che richiedono la presenza fisica dello stalker: messaggi e/o telefonate frequenti e persino atteggiamenti indiretti (ad esempio, diffamazioni presso terzi) possono integrare tale fattispecie (v. Cass. Pen., Sez. VI, n. 31362/2021).
La Corte di legittimità ha altresì chiarito che, ad ogni modo, la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto in questione.
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi si configura, invece, quando, all’interno di una relazione familiare o para-familiare, un soggetto pone in essere condotte reiterate di:
Soprusi, vessazioni, violenze fisiche o psicologiche;
tali comportamenti devono essere abituali e volti a creare un regime di sopraffazione continuativa.
Si tratta di un reato abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti che, isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili e che, nondimeno, integrano il reato per la loro reiterazione, che si protrae nel tempo, oltre che per la persistenza dell'elemento intenzionale.
A differenza del precedente, il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi non è un reato di evento, ma di condotta: perché esso si configuri, dunque, è sufficiente che il comportamento dell'agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti (v. Cass. Pen. n. 43307/23).
Non è necessario, secondo il dettato normativo, che le condotte maltrattanti avvengano esclusivamente in ambito domestico.
I maltrattamenti possono configurarsi anche tra persone che hanno cessato la convivenza, purché le vessazioni siano collegate a una precedente relazione familiare. Sul punto la giurisprudenza ha recentemente inteso chiarire come debba “escludersi la configurabilità del reato a fronte ad una convivenza di breve durata - solo qualche mese - e frutto di un mero rapporto di amicizia” (v. Cass. Pen. n.10621/24).
Il reato è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente, umilianti o vessatorie siano realizzate dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri non essendo ammesso il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente inferte (v. Cass. Pen. n. 23194/20).
La differenza tra i due reati è sottile ma cruciale.
Comprenderne le caratteristiche permette non solo di individuare correttamente il reato, ma anche di garantire alle vittime una tutela più adeguata.
Se hai dubbi o necessiti di assistenza legale per situazioni di violenza o persecuzione, rivolgiti ad un avvocato penalista esperto: una consulenza tempestiva può fare la differenza.
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